Primo atto “Rifare il corpo”
Gestus e il teatro del ‘900
È possibile che un braccio cresca fino a diventare un ramo? Che una pupilla indurita si trasformi in pietra?
A me è accaduto per una tratta limitata e intermittente. Rispetto a questo potrei certamente affermare che in alcuni casi ero al cinema e in altri a teatro, forse per ascoltare un concerto. Eppure quando il corpo umano muta e accoglie in sé più nature, scomponendosi e riarticolandosi, diventa capace di travalicare la dimensione dell’individuo, la confortante delimitazione spazio-temporale che gli assegniamo, in totale assenza di fenomeni psicologici come la suggestione. Il rapporto di Gestus con i maestri teatrali di inizio ‘900 parte precisamente da questi presupposti: ri-definire il corpo, i suoi limiti e le sue connessioni. Il dialogo nasce da una necessità irrinunciabile di oltrepassare i confini dello spazio e del tempo che qui proveremo a descrivere attraverso foto e testi, non con la volontà di esaurire la ricerca sul corpo, ma di gettare luce sul suo carattere.
Gestus nasce a teatro, più precisamente nel teatrino progettato dall’architetto Tadao Ando nel 2013, dove gli artisti sono invitati a specchiarsi con i grandi riformatori teatrali del secolo scorso. Uno spazio ritmico, rigorosamente geometrico – piani inclinati, scale , sopraelevate – pronto per esaltare il corpo dell’attore in movimento.
L’intento è di recuperare quella spinta trasformativa, attraverso la comédie du muscle (1), che si situa appunto sul piano delle tensioni muscolari e che intende avvicinare l’artista attore al visitatore attore.
L’uomo senza volto di Enrique Ramirez e la maschera neutra di Jacques Copeau
L’utilizzo della maschera, tra il 1921 e il 1924, fu messo al centro delle ricerche sull’espressione fisica. Presso la scuola di Jacques Copeau gli allievi, con il volto coperto da una maschera androgina e inespressiva, si stendevano a terra e cercavano di alzarsi, guidati dal respiro. Come appena nato, il corpo disteso guarda ciò che lo circonda e cerca di imitarlo: il movimento della luna diventa il ritmo che i muscoli seguono per re-imparare ad alzarsi. Attraverso questo esercizio era possibile eliminare gli automatismi corporei e imparare a muoversi in maniera totalmente nuova.
Ne L’homme sans image ritroviamo quella straordinaria esperienza di liberazione di cui si fa portatrice l’esercizio di Copeau. Un uomo, di cui solo a tratti è possibile vedere il volto, annaspa faticosamente nel mare avvolto da una vela. I movimenti frenetici e allo stesso tempo sinuosi sembrano appartenere ad un’alga, o ad una creatura marina, più che ad una figura umana. Nell’acqua buia illuminata da un unico raggio di luce, i ricordi della figura senza immagine si confondono. Tutto parla di una nuova nascita, dove il mare è come un ventre materno e l’uomo senza volto muta la sua natura. Come in un esercizio di maschera neutra il corpo attinge da ciò che lo circonda, si trasforma andando oltre sé stesso.
Lo sguardo è la maschera e la faccia è tutto il corpo. Quando l’attore si toglie la maschera, se l’ha portata bene, il suo viso è disteso. La maschera ha estratto da lui qualcosa che lo ha privato di ogni artificio: ha allora un viso bellissimo, disponibile.(2)
Il corpo esteso nell’opera di Trevisani e quell’idea di corpo senza organi di Artaud
È possibile immaginare un corpo senza gerarchie, dove cervello, cuore o altri elementi non ricoprono un ruolo privilegiato? Uno spazio orizzontale fatto di stratificazioni, un luogo di scambio continuo in cui le logiche di potere passano in secondo piano? Il regista teatrale Antonin Artaud è il primo ad introdurre il concetto di corpo senza organi, un insieme di elementi che funzionano in sinergia. Deleuze e Guattari utilizzeranno come esempio per descrivere il corpo senza organi, l’uovo, il cui stato indistinto di elementi crea una dimensione coesa e uniforme.
Può il corpo umano essere un corpo senza organi, o almeno provare a diventarlo?
Luca Trevisani nelle serie (Don’t) try this at home e Daniel Day Lewis esplora il corpo nella sua estensione. (Don’t) try this at home utilizza delle bio-plastiche realizzate con fiori di jacaranda, mais, patate e altri materiali, mescolate ad indumenti. Il corpus di sculture di Daniel Day Lewis è composto da scarpe realizzate in pane con un prolungamento in legno, dove la traccia del percorso umano è rimasta impressa nella forma delle suole. Entrambe si mostrano come estensioni di un corpo che non si esaurisce nella propria fisicità, ma comprende anche gli elementi che fanno parte del suo percorso vitale: le camicie, il cibo ed altri materiali organici. C’è una stratificazione di componenti eterogenee che crea un’unità, anche solo temporanea: un corpo senza organi. Non vi è una gerarchia, ma un’attitudine alla plasticità e alla contaminazione che governa l’essere in ogni suo stato. Trevisani, come Artaud, scopre un individuo che va oltre a sé stesso, intrinsecamente connesso a ciò che lo circonda.
Solo attraverso la pelle si potrà far rientrare la metafisica degli spiriti(3)
Non basta muoversi. È una ricerca sulle azioni fisiche quella che invoca Artaud nel suo Teatro della Crudeltà. Bisogna rifare il corpo per restituirlo alla sua vera libertà, renderlo capace di costruire nuovi collegamenti. L’attore deve essere in grado di riplasmare la propria natura e colpire i sensi dello spettatore per aiutarlo a rinsavire.
Se la musica influisce sui serpenti, non è per le nozioni spirituali che offre loro, ma perchè i serpenti sono lunghi, dipanano tutta la loro lunghezza sulla terra, e toccano il suolo quasi con la totalità del loro corpo; sicché le vibrazioni musicali che si trasmettono alla terra li raggiungono con un delicatissimo e lunghissimo massaggio; ebbene propongo di agire sugli spettatori come gli incantatori sui serpenti e di far loro ritrovare attraverso l’organismo le sensazioni più sottili. Propongo perciò un teatro in cui le immagini fisiche violente frantumino e ipnotizzino la sensibilità dello spettatore travolto dal teatro come da un turbine di forze superiori. (4)
Marco De Marinis (5), storico del teatro, ci fa notare un processo di maturazione nella ricerca di Artaud, ossia il passaggio dalla manipolazione percettiva dello spettatore alla trasformazione durevole dell’essere umano. Artaud abbandona l’idea di rappresentazione a favore della creazione capace di produrre segni efficaci.
Quale dunque è la nostra chiave per la trance magica generativa? Come ambire alla sapienza dell’attore sciamano, in una cultura della compiacenza, dello spettacolo, dove l’arte vive sotto l’influsso della coazione al consumo?
Byung – Chul Han, filosofo e pensatore tra i più importanti dei nostri tempi, affronta una delle fratture delle società di oggi proprio partendo dall’analisi della funzione dell’arte. Gli artisti, in un’epoca di culturalizzazione economica, vengono messi sotto pressione diventando conformi al mercato.
Gestus individua una risposta in quelle pratiche orientate all’autoriflessione, all’attenzione al processo. Non c’è la pretesa di creare qualcosa di nuovo, ma la volontà di avviare un dialogo, a partire da quegli interrogativi che altri hanno lasciato aperti (siano essi artisti, maestri teatrali, filosofi).Ciascuna opera induce sul corpo del visitatore impercettibili ma fondamentali rotture degli automatismi fisici, con l’obiettivo di mettere in discussione la percezione del proprio corpo e della dimensione mentale e spirituale. La pratica artistica in questo modo vuole slegarsi dalla mediazione imposta dalle logiche di mercato, per ritrovare una dimensione poetica ed essenziale. Un dialogo che va al di là dello spazio e del tempo, che da un corpo si trasmette a un altro.
1. E. Decroux, Paroles sur le mime, Librairie théâtrale, 1994, pad 80
2. Lecoq J., Il corpo poetico, Ubulibri, Milano, 2000, pp 52
3. Artaud, Basta con i capolavori, in il Teatro e il suo doppio con altri scritti teatrali, cit. pp. 214
4. Artaud, Basta con i capolavori, in il Teatro e il suo doppio, cit. pp.197 -199
5. De Marinis, In cerca dell’attore, Bulzoni Editore
GESTUS
15 ottobre
15 gennaio
Sede
Teatrino di Palazzo Grassi
Venezia
A cura di
Video Sound Art
Laura Lamonea
Chief curator
Thomas Ba
Curatore junior
Daniela Amandolese
Educazione
Francesca Mainardi
Pubbliche relazioni
Lino Palena
Produzione
Davide Francalanci
Approfondimenti editoriali